Fabio Domenico Palumbo, Alice allo specchio

Logica del senso, l’ultimo dei capolavori deleuziani degli anni Sessanta, è probabilmente vittima di un fraintendimento: essa è infatti generalmente considerata a partire dalla produzione successiva di Deleuze, contrassegnata dal sodalizio intellettuale con Guattari, rispetto alla quale si situerebbe su posizioni in qualche modo inconciliabili, poiché ancora marcate dall’affinità teorica con l’impostazione strutturalista e, soprattutto, con la psicoanalisi lacaniana.

In questo volume, Logica del senso è ripensata alla luce del rapporto tra inconscio e linguaggio. Ciò si rende possibile in virtù della ridefinizione deleuziana della differenza, non più pensata in termini negativi e limitativi secondo la tradizione strutturalista. Tramite l’uso affermativo e illimitato della disgiunzione, l’inconscio diventa infatti il luogo del linguaggio paradossale, del nonsense che produce senso. L’esplorazione del retroterra teorico di Logica del senso si traduce in Alice allo specchio in un percorso che incrocia due prospettive: una versione psicoanalitica di Alice, ma anche una lettura della psicoanalisi attraverso Alice e il resto della produzione carrolliana. È al crocevia tra meccanismi psichici e paradossi logici che si situa infatti la teoria deleuziana del senso, sulla linea di confine tra inconscio e linguaggio, tra il profondo e la pelle.

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