Felice Cimatti, La vita estrinseca. Dopo il linguaggio

Della “vita estrinseca” parla Leopardi nell’Elogio degli uccelli, all’interno delle Operette Morali. Che cos’è una vita “estrinseca”? Ecco qualche possibilità: la vita così come la può vivere un animale, ad esempio un calabrone che vola rumoroso tra i fiori, oppure una sardina che si sente a casa nell’oceano; un bambino in un lungo interminabile pomeriggio d’estate al mare, o una pittrice che ostinatamente riprende il suo soggetto, e sempre di nuovo ricomincia a dipingerlo, senza noia o stanchezza. E ancora: la scena finale di Professione Reporter ‒ il film di Antonioni ‒ con il divenire-cielo di David Locke/Jack Nicholson, oppure un uomo che prega, senza rivolgersi a nessuno, per la gloria del mondo. In tutti questi esempi qualcuno, umano o no (questa venerabile distinzione non è importante), è in piena relazione con il mondo, fa tutt’uno con l’esistenza, oltre la mente e oltre il corpo.

La “vita estrinseca” è quella vita in cui non ci si sente più come qualcuno, o qualcosa, di separato dalla vita e dal mondo. La “vita estrinseca”, in fondo, è il mondo che si sente attraverso di noi. Si tratta di una condizione che è difficile provare, perché tutto ‒ nelle nostre esistenze ‒ va contro questa possibilità. Eppure è l’unica condizione che è importante essere. Oltre sé stessi, oltre la politica e l’economia, oltre la religione e l’arte.

La vita, finalmente.

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