È noto – e da qualche decennio diversi studi non fanno che accertarlo – che dagli inizi degli anni duemila più della metà della popolazione del pianeta, ovvero poco più di 4,4 miliardi di persone, vive in città, concentrando di fatto gran parte della propria attività in ristrette zolle della Terra (2%) e occupando solo una ristretta percentuale delle terre emerse (Lussault, 2017). Il fenomeno di inurbamento ovviamente non riguarda solo l’Europa o gli Stati Uniti (che conoscono picchi di urbanizzazione dell’80 per cento), ma interessa l’intero globo: da Tokyo, nel cui circondario vivono 36 milioni di persone, a Mumbai con i suoi 12 milioni di residenti, passando per Shangai con poco più di 26 milioni di abitanti, sembra che l’umanità in questo evo storico abbia fatto della spazio urbano l’habitat più comune, oltre che più diffuso, dove vivere e riprodurre la propria vita associata.
Chiamare città quell’insieme eterogeneo di spazi che si aggregano e si assommano ai limiti delle periferie dei vecchi centri urbani, o che ai margini di questi costituiscono nuovi centri mobili ed effimeri, è diventato solo un comodo espediente retorico: abitudine di una lingua in attesa di una nuova invenzione. Quello che infatti velocemente definiamo ‘città’ non è altro che una distesa senza fondo e senza bordo, che si prolunga in una ‘totalità sparpagliata’ di frammenti abitati (Nancy, 1999), spesso senza una sua propria forma, senza un riconoscibile e solido centro d’equilibrio. Non più città conchiusa o orientata dal suo centro storico, ma post-metropoli la cui morfologia si costituisce a partire da un radicale ribaltamento dei principi costitutivi dei luoghi di relazione della vita urbana (Gregotti, 2011). Né polis, dunque, intesa come la città-dimora in cui genos ed ethnos coincidono; né civitas, luogo del convergere di diverse persone sotto le medesime leggi, al di là di ogni determinatezza etnica o religiosa (Cacciari, 2009). La città contemporanea si discosta dunque sia dai modelli antichi, fondati su nómos e ius, sia da quelli moderni, che organizzano lo spazio urbano attorno ai corpi rigidi e fissi della fabbrica, della produzione, del mercato.
È indubbio, allora, che l’inedita condizione di disgregazione ed estensione senza limiti che riguarda le trasformazioni urbanistiche della città contemporanea costituisca una sfida radicale a tutte le forme tradizionali della vita associata, dal momento che la città, prima ancora di essere una questione, consiste anzitutto nella forma che rende possibile la coesistenza umana: spazio dell’azione e del discorso, dell’interazione, della socievolezza, spazio dell’infra (in-between) e dell’essere-con-gli altri che, secondo Hannah Arendt, sta a fondamento della politica, costituendo il presupposto di ogni partecipazione alla vita associata (Arendt, 1958). La polis dell’antichità, ad esempio, è stata il luogo dell’invenzione dello spazio pubblico in cui gli esseri umani hanno potuto sperimentare una libertà impossibile da esperire nell’universo domestico: quella libertà di non essere soggetti né alla necessità della vita né al comando del capofamiglia. Nel mondo moderno, invece, la città è stata il luogo di incubazione dell’illuminismo e poi delle rivoluzioni, delle comuni e dei consigli, di quei progetti di organizzazione e costituzione politica al di qua o al di là della forma statuale. Oggi, come teoriche e teorici della politica, sentiamo il bisogno di tornare a riflettere su questa infrastruttura che rende possibile la politica, per ragionare, a un tempo, sullo stato di salute della città e sullo stato di salute della politica. Vogliamo per questo interrogare i saperi e i progetti degli urbanisti e dei filosofi, degli scrittori e degli architetti, degli amministratori pubblici e dei costruttori, per verificare quali spazi di socialità per lo sviluppo della comunità, per la cura e la sussidiarietà, resistono o vengono sviluppati nella città contemporanea. Ovvero, siamo curiosi di scoprire come le trasformazioni urbane stanno modificando la vita associata di chi vi abita, ma anche come l’azione politica possa ridefinire e determinare in modo inatteso i luoghi urbani, popolandoli di soggetti imprevisti, esperienze inedite, eventi generativi.
Intrecciando saperi disciplinari diversi, in questo ciclo di conferenze vorremmo per questo trattare la città non solo come artefatto, cioè come spazio che grazie alle forme dell’edificato (monumenti, edifici, abitazioni) diventa il luogo di conservazione della memoria e della tradizione, ‘palinsesto’ di forme del passato sovrapposte l’una all’altra (Rossi, 1966), ‘collage’ di stili architettonici più o meno gradevoli (Harvey, 1993). Analizzeremo piuttosto la città come la combinazione, ogni volta differente, dei modi di vivere delle persone (cité) e le forme dell’edificato (ville) (Sennett, 2018): a un tempo manufatto architettonico e fatto sociale. Interessandoci così non solo alla città per come appare o dovrebbe apparire, ma a come essa funziona, a quali forme di ordine già risponde, attraverso quali forme di azione o discorso viene continuamente riplasmata e attraversata dai suoi abitanti.
L’invito alla discussione riguarda, allora, alcune domande circa lo stato delle trasformazioni urbane e l’emergenza e la definizione dei suoi spazi pubblici.
Analizzando casi concreti riguardanti luoghi geografici diversi (Roma, Verona, Ramallah, Palermo) osserveremo quali soluzioni l’urbanistica e l’architettura possono trovare per favorire o arrestare, far fiorire o dimenticare, vivificare o, al contrario, far naufragare il carattere civile della città. Seguendo alcuni progetti di rigenerazione urbana, ci interrogheremo sulle relazioni che sussistono tra la qualità dello spazio pubblico e lo sviluppo della comunità, la cura del paesaggio e la generatività della città. Guardando ai processi di riduzione dei centri storici italiani a luoghi in cui la città cede a un impulso museale e a un’artificiosa inclusione dei suoi turisti, ci chiederemo se la città sia solo luogo vissuto, mai vivente (Panattoni, 2023). Osservando poi l’estensione della filiera urbana e la crescente porosità dei confini tra città e campagna, ci domanderemo anche a quale dimensione ecologica è destinata la città contemporanea, e attraverso quali forme di mobilità la densa pluralità umana che vi abita può muoversi e raggiungere tutti i suoi luoghi. Inoltre, ci chiederemo anche quale sia l’effetto performativo che alcune narrazioni determinano sulla città, ma anche qual è lo scarto, qual è la differenza, che si produce tra città e narrazione, tra la città minerale, delle pietre e degli edifici, e la città linguistica, delle parole e delle storie. Infine, riportando la nostra attenzione al nostro luogo di partenza, ci chiederemo se le definizioni di città policentrica (Nigrelli, 2021), città dei quindici minuti (Moreno, 2020), città incompiuta (Sendra, Sennett, 2020) – entrate negli ultimi anni nella cassetta degli attrezzi di ogni urbanista – possano oggi orientare lo sviluppo della città di Verona.
In definitiva, se la caratteristica dell’architettura non deriva da una somma di larghezze, lunghezze e altezze degli elementi costruttivi che racchiudono lo spazio, ma proprio dal vuoto, dallo spazio racchiuso, dallo spazio interno in cui gli esseri umani si trovano a camminare e vivere (Zevi, 1948), il vero interrogativo che vorremmo muovere in ogni incontro di questo ciclo sarà l’uso che di questo spazio interno – quello spazio che non può essere appreso e vissuto se non per esperienza diretta – le città contemporanee stanno facendo o possono ancora fare.
1) Le architetture della libertà: Olivia Guaraldo (Università di Verona) – Riccardo Panattoni (Direttore dipartimento di Scienze Umane, Verona) /1 Febbraio 2024/(Spazio Baleno) ore 18-21;
2) Spazi domestici e spazi di cura: Carlotta Cossutta (Scuola Normale Superiore) ed Elena Granata (Politecnico di Milano)/22 Febbraio 2024. (Spazio Univr) ore 15.00-18.00
3) Discussione con Nicola Turrini (Università di Verona) e Arab American University 22 Marzo 2024 (Spazio Baleno) ore 18.00-21.00
4) La città in comune discussione con Giovanni Caudo (Università Roma tre) e Barbara Mezzaroma /4 Aprile 2024/ (Spazio Univr) ore 15.00-18.00
5) Questa non è una città. Con Giorgio Vasta (scrittore) /29 Aprile 2024/ (Univr in collaborazione con Massimo Natale, letteratura italiana, Università di Verona) ore 15.00-18.00
6) Trasformazioni urbane Verona: Barbara Bissoli (Vicesindaca di Verona) & Associazione Cocai /23 Maggio 2024/(Univr) ore 15.00-18.00