Progetto di Vita
Marinella Muscarà e Giuseppe Burgio
Università “Kore” di Enna
“Progetto di Vita” (PdV) è termine che nasce originariamente in relazione all’ambito dell’handicap, costituendo un’evoluzione del Piano Educativo Individualizzato (PEI). Infatti, nel decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio 1994 (pubblicato la prima volta nella G.U il 6 aprile 1994) vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per l’alunno/a in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione. In altre parole, il PEI è una risposta operativa alla didattica personalizzata, pensata e strutturata per il minore, per individuarne le specifiche peculiarità. Esso rappresenta la declinazione esecutiva di una visione complessa del soggetto per attuare quei processi didattici inclusivi che tengano in considerazione il singolo come persona e il singolo nel gruppo.
Il PEI è oggi utilizzato a scuola per gli studenti con disabilità nonché, nelle comunità educative, per i minori stranieri non accompagnati (MSNA), sulla base del riconoscimento del fatto che tanto i primi quanto i secondi evidenziano, per motivi diversi, bisogni educativi speciali che, anche nel caso dei MSNA, sarebbero meglio soddisfatti attraverso il passaggio al PdV.
Nel PdV, infatti, vengono contemplati i desideri e i bisogni dei soggetti al fine di aiutarli a raggiungere i propri obiettivi, a partire da una matrice teorica innovativa, eco-sistemica, interattiva, multidimensionale e un approccio bio-psico-sociale, incentrato su un lavoro di rete che sia verificabile nel tempo, oltre che orientato agli esiti e all’efficacia degli interventi (dei quali è indicatore un miglioramento effettivo della qualità della vita).
Se il PEI descrive potenzialità e limiti del soggetto per il quale si progetta un intervento educativo, il PdV sposta invece l’attenzione dal come dell’intervento di cura educativa al chi del soggetto, approfondendo le sue capacità di progettazione autonoma e comprendendo nel suo sguardo l’intero campo educativo (formale, non formale, informale), non limitandosi quindi al solo intervento educativo progettato. Il PdV ha infatti il vantaggio di disegnare l’educando come soggetto attivo – in ultima analisi, l’unico responsabile – della progettazione della propria vita, della propria adultità futura, e accomuna chi vive uno svantaggio socioculturale (come il MSNA) a tutti gli altri coetanei che, comunque, si trovano nella condizione faticosa di dover pensare la propria esistenza in prospettiva futura. Tale condizione implica (per tutti/e) la fatica dell’immaginare, del desiderare, del volere e – contemporaneamente – del fare un bilancio delle proprie competenze, del preparare le proprie azioni, del prevedere le varie fasi, del gestire i tempi. Il PdV costituisce allora uno strumento utile alla co-costruzione – nel dialogo con le varie figure professionali che interagiscono con i minori (educatori, insegnanti, assistenti sociali, psicologi) – di una progettualità realistica a partire dalla narrazione.
La narrazione permette infatti di esplicitare il proprio progetto di vita, consapevole o inconsapevole che sia, ragionato o nato da impulsività non ancora passata al vaglio della consapevolezza, in una prospettiva di ‘trasformazione’ possibile, in un’ottica cioè – già in sé – esplicitamente pedagogica. Raccontarsi – a sé stessi e agli altri – costruisce il proprio sé come inveramento, proiezione, maturazione, modellizzazione identitaria che nasce dal travaglio dell’esistere e del darsi ordine e senso, nel darsi forma, cioè del ‘formarsi’. In questo modo, non solo il PdV viene costruito a partire dalla partecipazione del minore interessato in prima persona, ma non può non ‘emergere’ dal percorso magmatico di co-costruzione di sé che ha luogo in campo intrapsichico e relazionale, e che si disvela attraverso la narrazione. Solo in questo modo è possibile arrivare a un PdV che sia, contemporaneamente, esito di un processo (auto)educativo, di una formazione a osservarsi, a saper progettare, a saper implementare i passi necessari al raggiungimento dei propri obiettivi. Mezzo e, contemporaneamente, fine del percorso progettuale è infatti costituito dall’empowerment: l’insieme di conoscenze, abilità relazionali e competenze che permettono di porsi obiettivi e di elaborare strategie per conseguirli utilizzando le risorse esistenti.
A partire dal PdV, RE-SERVES si propone di sviluppare nei MSNA proficue competenze socio-relazionali in funzione del processo di acculturazione e di inclusione sociale.
Riferimenti bibliografici minimi
Burgio, G., (2003). Empowerment e scuola. In AA.VV., Lessico oggi. Orientarsi nel mondo che cambia (pp. 83-89). Rubbettino.
Cambi, F., (2002). L’autobiografia come metodo formativo, Laterza.
Demetrio, D., (2003). Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica. Laterza.
De Angelis, B., (2017). Metodo narrativo e pratiche inclusive. In L’integrazione Scolastica E Sociale, 16(1), pp. 72-79.
Palmieri, C., (2006). Dal PEI al Progetto di Vita: la prospettiva della cura educativa. In Handicap & Scuola, 126, pp. 9-12.
Per citare questo testo:
Muscarà, M., & Burgio, G. (2020). Progetto di vita. In M. Milana & P. Perillo (Cur.) Progetto RE-SERVES: Glossario. https://sites.dsu.univr.it/re-serves/