Riflessività
Fabrizio Chello
Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa

Il concetto di riflessività si è diffuso nella letteratura pedagogica, nel corso degli anni ‘80 dello scorso secolo, in relazione agli studi condotti da Donald Alan Schön (1983/1993) sulle epistemologie professionali. Tale diffusione è stata possibile, oltre che per le specifiche qualità della proposta, anche per il retroterra culturale all’interno del quale essa ha preso forma, poiché caratterizzato dalla forte volontà di ripensare la relazione tra conoscenza e azione al di là delle opposizioni che hanno irretito la tradizione Occidentale. In questo senso, il concetto di riflessività è stato riutilizzato anche da altri approcci epistemologici e teorici, in alcuni casi molto diversi da quello schöniano, contribuendo a generare talune ambiguità e confusioni. Per tale motivo il concetto viene qui illustrato esclusivamente alla luce del pensiero di Schön e di quello di John Dewey, a cui l’Autore si rifà.
Schön elabora il concetto di ‘riflessività’ perché ritiene che la crisi del mondo professionale sulla quale focalizza la sua analisi sia riconducibile al pervasivo dominio della Razionalità Tecnica, secondo cui il professionista, quale esperto opportunamente formato, applica la conoscenza scientifica, costruita mediante protocolli di ricerca standardizzati, a un particolare caso problematico per individuare una possibile soluzione. Tale concezione – che delinea una dinamica gerarchica, deterministica e unidirezionale tra la teoria e la pratica – non tiene conto del carattere mutevole, incerto e ambiguo delle situazioni che quotidianamente un professionista affronta.
Al fine di valorizzare tale carattere, l’Autore abbandona la concezione neo-positivista della conoscenza scientifica, richiamandosi al pragmatismo americano di inizio secolo e, in particolare, al volume di John Dewey (1938/1974) Logica, teoria dell’indagine, in cui il filosofo legge la ricerca scientifica come il processo logico di tipo riflessivo attraverso cui una situazione inizialmente percepita come incerta, ambigua e problematica diviene chiara, definita e gestibile. In questa direzione, Schön (1983/1993) ha buon modo di pensare l’agire professionale come il frutto di un processo di ricerca fondato sulla Razionalità Riflessiva, ossia su una forma di razionalità non applicativa e non standardizzata che consente al professionista di:

  • analizzare la situazione incerta e indeterminata nella quale si trova;
  • trasformare questa situazione in un problema da affrontare;
  • individuare i fini del proprio intervento;
  • progettare le azioni e gli strumenti che lo compongono.

Secondo questa visione, il lavoro cognitivo di tipo ‘artistico’ o ‘artigianale’ viene effettuato dal professionista in maniera tacita e implicita nel corso dell’azione professionale (reflection-in-action) e/o in maniera più esplicita e consapevole ad azione conclusa (reflection-on-action).
La proposta epistemologica schöniana ha consentito – come dimostrano i lavori di Mezirow (1991/2003) – di esplicitare il ruolo potenzialmente trasformativo della riflessività, quale competenza che permette al professionista di ritornare sul proprio agire per mettere in discussione ed eventualmente cambiare le proprie prospettive di significato.
Tuttavia, tale proposta ha ricevuto anche un gran numero di critiche (cfr. Erlandson, 2007), che possono essere ricomprese in tre grandi aree:

  1. il concetto di reflection-in-action presuppone una temporalità minima che non consente lo sviluppo di una riflessione problematizzante, che si dà invece solo nella reflection-on-action;
  2. la riflessività, per quanto condivisa e dialogica, è concepita come una competenza individuale e, dunque, l’assenza di una reale prospettiva intersoggettiva potrebbe condurre il professionista a interpretare in maniera normativa il prodotto della propria riflessione;
  3. il ruolo dominante del linguaggio nell’analisi delle situazioni problematiche comporta un misconoscimento della realtà fattuale.

Queste critiche, seppur mosse da prospettive teoretiche e con finalità diverse, concordano nell’intercettare alcune debolezze insite in una interpretazione costruttivista del pragmatismo deweyano a cui sembra ispirarsi la formulazione di riflessività proposta da Schön (1983/1993). In questo senso, più recentemente, la ‘riflessività’ è stata riletta, alla luce della prospettiva deweyana (Dewey & Bentley, 1949/1974), come la funzione che emerge dalla transazione tra organismo e ambiente e, dunque, come una caratteristica che non appartiene al singolo professionista bensì al sistema nel quale quest’ultimo è ricompreso.
È su tale rilettura che sono progettate alcune azioni del progetto RE-SERVES con l’intento di consentire ai servizi educativi formali e non formali di sviluppare, attraverso pratiche di confronto transazionale, la propria riflessività per trasformarsi in comunità di cura educativa.

Riferimenti bibliografici minimi

Dewey, J. (1974). Logica, teoria dell’indagine. Einaudi. (Originariamente pubblicato nel 1938)

Dewey, J., & Bentley, A.F. (1974). Conoscenza e transazione. La Nuova Italia. (Originariamente pubblicato nel 1949)

Erlandson, P. (2007), Docile Bodies and Imaginary Minds. On Schön’s Reflection-in-Action. Göteborgs Universitet.

Mezirow J. (2003). Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti. Raffaello Cortina. (Originariamente pubblicato nel 1991)

Schön, D.A. (1993). Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale. Dedalo. (Originariamente pubblicato nel 1983)

Per citare questo testo:

Chello, F. (2020). Riflessività. In M. Milana & P. Perillo (Cur.) Progetto RE-SERVES: Glossario. https://sites.dsu.univr.it/re-serves/