Amicizia
Federico Leoni, Università di Verona

 Amicus proviene, etimologicamente, da “amo, amare”. Amico è quindi in latino chi ci ama o chi amiamo, chi prediligiamo o chi ci predilige. Si tratta di un affetto che non è senza rapporto con l’amore e forse anche con le promesse e le difficoltà dell’amore. Interessante poi che il corrispettivo greco, philia, sia invece nettamente distinto dal corrispettivo greco di amor, forse anche perché un esatto corrispettivo greco di amor non c’è. Troviamo semmai eros, che è una cosa diversa, è una brama, un desiderio anche sessuale, come attesta il nostro termine “erotismo”. Philia indica una più ampia relazione di affinità, così ampia che in greco può caratterizzare anche un legame tra elementi naturali o addirittura cosmologici. Oppure è un affetto umano, ma un affetto che, se può nascere tra due fidanzati o due sposi, non implica necessariamente la dimensione del desiderio, come del resto non la implica il fidanzamento o il matrimonio, che secondo la mentalità greca sono piuttosto delle forme di alleanza. In breve è interessante mappare questo insieme di sovrapposizioni e di differenziazioni tra l’affinità amicale e l’erotismo perché questa sorta di oscillazione si ritrova poi nell’intera storia del concetto ed è in qualche modo alla base sia delle promesse sia delle aporie del concetto di cui stiamo parlando.

Non è facile tracciare anche per cenni una storia dell’amicizia come concetto filosofico, perché il concetto di amicizia attraversa tutta la storia della filosofia e sembra quasi andare di pari passo col progetto della filosofia stessa. Quando nasce, in Platone, la filosofia è il progetto di un sapere nuovo, ma anche di un modo nuovo di coltivare il sapere. La filosofia è quel sapere che non è già dato, ma che va ricercato. Non riposa nel passato della tradizione, ma ci attende nel futuro della scoperta. E quella ricerca, quella scoperta va coltivata in comune, non cala dall’alto ma nasce faticosamente dal basso, dalla discussione, dal confronto, dalla lotta. Questo agonismo, così tipicamente greco, è del resto un’altra componente dell’amicizia, che da subito si affaccia nel campo della filosofia e mostra qualcosa che caratterizza ogni amicizia, filosofica o meno.

Si sa del resto che la filosofia è molto più che un sapere, un’aspirazione a sapere. Filosofia significa letteralmente amicizia per il sapere, amore per il sapere. Si tratta di un’aspirazione a liberarsi di un sapere vecchio e ingannevole, per costruirne uno nuovo e condiviso.

Che la filosofia sia questione di amicizia si riscontra anche in Platone (2007), ad esempio nel suo dialogo La Repubblica che vede la nascita della filosofia come instaurazione di un sapere finalmente affidabile, e del governo della città secondo una rinnovata idea di giustizia, liquidando così quel legame di sangue che, viceversa, era centrale nella società greca arcaica. È una tesi forte del platonismo. Si pensi alle pagine celebri e sconcertanti con cui Platone, sempre nella Repubblica, insiste sull’opportunità di togliere i figli ancora piccoli ai loro genitori in modo da crescerli in comune. È un invito a sublimare il legame di sangue, ad allentare i vincoli familiari, a disinnescare le rivalità tribali, a mettere da parte lo scontro tra appartenenze ancestrali. Il nuovo legame si gioca tra pari, è improntato a giustizia, introduce nella dismisura delle passioni e delle generazioni la misura della reciprocità e l’economia della continua ridistribuzione dei beni, degli onori, dei poteri, etc.

Qualcosa di simile troviamo anche in Aristotele (1996), ma con accenti diversi che vale la pena ripercorrere brevemente. Anche la mossa aristotelica consiste nel distinguere il più possibile l’amicizia dall’amore, la philia dall’eros. Nella lingua aristotelica tutto questo si dice in altri termini, ma la differenza terminologica non deve sviare. Il fondo della questione è il medesimo. L’amicizia è, per Aristotele, una disposizione che si coltiva e si perfeziona nel tempo, un gesto di libera elezione capace di durare e di consolidarsi, diventando affinità e alleanza sempre più stabile e profonda. L’eros è invece passione, cosa che per un greco significa turbamento, forza che investe il soggetto e che il soggetto fatica a governare, dedizione a un oggetto rispetto al quale ci si ritrova a dipendere. Passione è per definizione un affetto instabile e tendenzialmente distruttivo, perché espone il soggetto ai rovesci di una vicenda incerta. È l’oggetto ad avere in mano la chiave di una storia di passioni, mentre l’etica aristotelica è un’etica delle passioni temperate, un’etica che consiste nel rendersi padroni di sé e dei propri impulsi. E l’amicizia è appunto un amore temperato, un amore reso stabile da una vera e propria arte, da un quotidiano esercizio di vita comune.

Alle soglie della modernità, Michel de Montaigne ([1580]1992) segue sostanzialmente questa distinzione platonico-aristotelica che definisce l’amicizia per opposizione all’amore/desiderio, e che per farlo convoca un sistema di opposizioni nettamente articolato, o per meglio dire ispirato alla speranza che una netta articolazione sia possibile. E dunque: azione/passione, libertà/schiavitù, durata/discontinuità, mondo privato/sfera pubblica, sangue/giustizia, appartenenza tribale/condivisione propriamente politica, educabilità dell’azione/ineducabilità della passione, centralità del soggetto/dipendenza da un oggetto. Ma Montaigne è ormai alle soglie della modernità, anzi è uno dei padri della modernità. Per un verso guarda appunto agli antichi, per altro verso si affaccia su una nuova epoca e sui dubbi che la inquietano. La modernità nasce come un’epoca dubbiosa, è attraversata da una vena scettica, ha il suo emblema nel domandare molto più che nel rispondere, nel destabilizzare molto più che nel consolidare. E così Montaigne scrive in un passo famoso, riprendendo un motto antico e di incerta decifrazione, e facendo di quell’incertezza il perno della sua nuova visione: “O amici, non ci sono amici”. L’amicizia, insomma, non è più un progetto, ma una scommessa. Montaigne si rivolge agli amici per farne i testimoni privilegiati del proprio sospetto. Forse non ci sono amici. Chiama in causa gli amici per interrogare l’inaffidabilità dell’amicizia, o forse chiama in causa l’inaffidabilità dell’amicizia per farne lo spazio di una sperimentazione comune. Amico sarà chi accetta la scommessa di questo esperimento sull’amicizia stessa. Amicizia sarà lavorare sui margini dell’amicizia, amicizia sarà interrogarsi sulla fragilità dell’amicizia, e forse della propria capacità di amicizia, della propria prossimità agli amici.

Si potrebbe dire che il quadro antico, platonico-aristotelico, è rilevante, per noi, oggi, soprattutto perché la modernità e la contemporaneità non smetteranno più di metterlo in dubbio. E si potrebbe aggiungere che il quadro moderno, con la figura di Montaigne che campeggia sulla soglia dell’età nuova, è rilevante per noi, oggi, perché il destino successivo dell’idea di amicizia fa tutt’uno con una sua sempre più radicale interrogazione.

La contemporaneità mette in dubbio anzitutto la possibilità di sbrogliare eros e philia. Si ricorderà che tutta la strategia di Platone e di Aristotele dipendeva dall’idea che questi due versanti potessero essere districati. A cascata, la contemporaneità ricava da questo primo dubbio locale un secondo dubbio più generale, un dubbio che investe l’intera strategia concettuale platonico-aristotelica-umanistica. Se eros non è davvero separabile una volta per tutte da philia, se eros attraversa sempre in qualche misura philia, allora la dimensione contrastante e ingovernabile del desiderio è destinata a corrodere dall’interno ogni dispositivo di formalizzazione del rapporto intersoggettivo e ogni soluzione politica del conflitto tra interessi contrastanti. La politica della giustizia è insomma sempre minata da una minaccia ineliminabile. Nel campo della politica è destinato a tornare sempre e comunque qualcosa che sembrava essere stato domato una volta per tutte o persino evacuato: l’ordine delle passioni, la spinta della sessualità, il fantasma dell’appartenenza, la forza del legame tribale, la violenza identitaria innescata dalle insegne del padre, dell’antenato totemico, del passato più o meno mitico e dunque più o meno ingovernabile da parte delle esili forze soggettive.

Non è un caso che tutti questi dubbi intorno alla possibilità dell’amicizia, e per dire le cose in senso più ampio, intorno alla possibilità di una politica dell’amicizia, esplodano in un tempo che segna il culmine della speranza umanistica nella possibilità di costruire la città giusta, cioè la società che ha regolato una volta per tutte gli eccessi di eros tramutandolo tutto in philia, ovvero che ha calcolato una volta per tutte quell’elemento incalcolabile che è il desiderio, per riversarlo in un sistema di scambi perfettamente calcolabili ed esattamente equivalenti. Quel tempo che segna il culmine di questa speranza è il tempo del liberalismo classico, il tempo dell’ascesa del commercio e dell’industria, e poi dell’industrialismo dispiegato e della globalizzazione incipiente. Si può sognare che tutto abbia un prezzo, e che quindi tutto possa essere oggetto di uno scambio regolato, magari oneroso ma non incalcolabile. E invece, è come se un resto continuasse a corrodere questo sogno dall’interno. I conti non quadrano mai, che è quanto dire che i soggetti non arrivano mai a quel momento mitico in cui il debito e il credito dovrebbero giungere al pareggio. Resta sempre qualcosa di incalcolabile, qualcosa manca sempre all’appello o eccede sempre la misura. Tutto ha un prezzo, il denaro è il garante di quella universale regolazione dei valori, salvo che una specie di sorda insoddisfazione ronza nel silenzio di questo meccanismo perfettamente oliato. C’è dell’altro, e quell’altro è senza prezzo, non rientra nello scambio economico, riafferma continuamente la presenza insistente di un elemento impolitico e antieconomico.

È il momento in cui, nell’Europa liberale di inizio Novecento, esplode prima la Grande Guerra, poi la stagione del fascismo e della dittatura. La lettura che Georges Bataille ([1933] 2010) avanza in presa diretta, con sensibilità da rabdomante, del fenomeno del fascismo italiano e tedesco è tutta incentrata su questo punto. Qualcosa di eccedente, eterogeneo, incalcolabile, inquieta una società che aveva sperato di risolvere quel qualcosa di eterogeneo nell’ordine dell’omogeneo. Eros torna a scuotere l’ordine nitido e neoclassico della philia liberal-democratica. Torna come un elemento mortifero, destabilizzante, irriconoscibile dentro lo schema dei rapporti della società liberale. Guarda caso proprio la questione dell’amicizia torna al centro del dibattito e, come un parafulmine, si carica di tutte le tensioni che aleggiano nel quadro che abbiamo tratteggiato. Si immagina che una nuova idea di amicizia o una nuova pratica dell’amicizia possa e debba supplire alla grande crisi. Da ogni parte si interroga l’amicizia immaginandola come la pietra filosofale in grado di rinfocolare un legame sociale ormai stanco, pallido, intristitosi in un utilitarismo dal fiato cortissimo.

È interessante una specie di simmetria che si produce in questa storia di idee e che potremmo tratteggiare brevemente. Per qualcuno (si veda per es. Gentile, [1916] 2003) si tratta, per dire la cosa nei nostri termini, di andare a fondo delle promesse dell’amicizia in una direzione che potremmo chiamare comunitarista, di cui il fascismo sarà una variante radicale ma non isolata. La società deve diventare una comunità. Lo Stato liberale deve diventare uno Stato etico. Il legame economico deve risolversi in un’appartenenza destinale. La tolleranza liberale deve lasciare spazio a una nuova politica identitaria e a una rinnovata, e a quel punto necessaria, lotta per l’affermazione di quell’identità contro le altre identità. Se si prolunga appena questa traiettoria, si ricava senza soluzione di continuità la soluzione propriamente fascista. Per altri, si tratta di ripercorrere l’amicizia in direzione esattamente opposta, direzione che potremmo chiamare anticomunitarista, di cui certi filoni dell’ultraliberismo contemporaneo rappresentano la variante più affermata (si veda per es. Rawls, 1971).

In altri termini, i primi vogliono di fatto ripristinare quella philia vicina all’eros che Platone aveva espunto dal politico separandola una volta per tutte dall’eros stesso. Si tratterebbe cioè, per loro, di realizzare una comunità in cui l’appartenenza si trova a essere, di fatto, risessualizzata e ritribalizzata. È una tentazione ricorrente, e innesca in maniera ricorrente la sua alternativa. È una tentazione ricorrente perché affonda le radici in un problema effettivo, sebbene voglia risolvere quel problema attraverso un rimedio che ha tutti i tratti della catastrofe. I secondi, invece, vogliono spingere ancora più a fondo la desessualizzazione e la detribalizzazione del legame. Vogliono incanalare ancor più radicalmente la philia verso la sua risoluzione integralmente economica. Vogliono risolvere il legame intersoggettivo in una frammentazione che porta il principio utilitarista all’estremo. Anche questa è una tentazione ricorrente, o forse, al momento, una realtà sempre più ampiamente realizzata. Realtà che proprio per questo innesca a sua volta in maniera ricorrente la tentazione comunitarista quando non apertamente fascista. O, come oggi si preferisce dire, sovranista.

Un testo come quello di Jacques Derrida ([1994] 1996), Politiche dell’amicizia, si inscrive, cinquant’anni più tardi rispetto alla diagnosi batailleana, e in un’interessante contemporaneità col lavoro di John Rawls, esattamente in questo dibattito e in questo labirinto di difficoltà e forse di aporie. In un certo senso, il libro di Derrida è una gigantesca nota a piè di pagina del detto già ricordato: “Oh amici, non ci sono amici”. Motto che infatti attraversa tutti i passaggi fondamentali del testo come una linea di basso continuo. La strana e paradossale oscillazione del motto in questione è un buon emblema di tutto il pensiero contemporaneo intorno all’amicizia. La complessità del libro di Derrida, l’ambivalenza deliberata del progetto di una decostruzione del concetto di amicizia e del suo valore immediatamente politico, eredita infatti tutta la complessità della crisi della democrazia liberale, di cui il fenomeno storico del fascismo non era stato che un capitolo momentaneo. Oggi possiamo rileggere quel capitolo all’interno di questa vicenda complessiva, e possiamo vedere le linee di frattura innescate da quella vicenda approfondirsi nel corso del dopoguerra e arrivare alle soglie del nostro tempo.

Anche per questo, la scelta deliberata di Derrida è quella di sostare sulle impasses del concetto di amicizia, di esplorarne le aporie, di costruire una specie di crinale sottile ma in qualche modo praticabile tra i due rischi simmetrici di cui l’amicizia si nutre, da un lato la deriva fascista di un’amicizia improntata all’eros e alla morte, dall’altro la deriva liberista di un’amicizia ridotta a puro formalismo svuotato di corpo e soggettività. Per Derrida quest’amicizia che si mantiene in bilico sul crinale, senza cadere né di qua né di là, dovrebbe essere il miracolo specifico della democrazia, il prodotto peculiare dei suoi dispositivi giuridici ed economici, l’oggetto privilegiato della filosofia che il nostro tempo deve coltivare, la bussola di ogni etica contemporanea, la direzione in cui ogni pedagogia dovrebbe procedere. Amicizia sarebbe in altri termini un concetto limite, come peraltro era chiaro da sempre. Salvo che il limite non va “deciso” né in un senso né nell’altro, poiché ogni decisione innesca il rimbalzo verso la decisione opposta e verso l’opposta catastrofe. Stare in bilico sul crinale appena descritto diventa insomma, per Derrida, non un’aporia ma un metodo, non un’assenza di vie percorribili ma l’unica strada che possiamo percorrere.

Aristotele. (1996). Etica nicomachea. Rizzoli.

Bataille, G. (2010). La struttura psicologica del fascismo. Scritti sul fascismo 1933-1934. Mimesis. (Originariamente pubblicato nel 1933).

Derrida, J. (1996). Politiche dell’amicizia. Cortina. (Originariamente pubblicato nel 1994).

Gentile, G. (2003). I fondamenti della filosofia del diritto. Le Lettere. (Originariamente pubblicato nel 1916).

Montaigne, M. de, Saggi (1992). Adelphi. (Originariamente pubblicato nel 1580)

Platone (2007). Repubblica. Napoli.

Rawls, J. (1971). Una teoria della giustizia. Feltrinelli

Baldini M. (a cura di) (1999). Educare all’amicizia. La Scuola.

Galli N. (2004). L’amicizia, dono per tutte le età. Vita e Pensiero.

Mariani A. (2000). L’amicizia come sentiero della formazione. Studi sulla Formazione, (1).

Per citare questo testo:

Leoni, F.,  (2020, 13 novmbre). Amicizia. In M. Milana & P. Perillo (Cur.) Progetto RE-SERVES: Costrutti chiave. https://sites.dsu.univr.it/re-serves/